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I ClanDestino: Melting Pot di generi sperimentale

Un fantastico crossover di generi quello che ci propongono oggi i ClanDestino, un progetto che nasce nel 2015 grazie all’incontro del gruppo punk “Alias” ed il rapper LaCroix. I ClanDestino sono:
Nico Brio: Basso
Edo Brio: Tastiera
Teo: Chitarra
Dave: Batteria
La Croix: Voce Rap
Lupo: Voce Punk
6 ragazzi alla ricerca di sonorità nuove,
arrangiamenti e tematiche assolutamente sperimentali e colme di ispirazione.
Questa band ci propone e ci conferma che, nonostante la giovane età, si può osare, si può e si deve andare oltre se è quello che ci si sente di fare.

“Il giardino della mente” è una finestra dentro se stessi, attraverso le proprie tematiche esistenziali, uno sfogo assoluto e un districarsi energicamente dai dilemmi che ci affliggono ogni giorno. Assolutamente da ascoltare assaporandone i riff di chitarra, le incalzanti ritmiche e gli spostamenti di dinamica.

L’intreccio di generi come alternative e indie rock con il rap e punk funziona egregiamente soprattutto grazie al lieve accenno prog sul finale che rende il tutto ancora più interessante.

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Il brillante e Ironico Mao Medici

Oggi presentiamo un cantautore decisamente folk, Mao Medici, arrangiamenti semplici ma efficaci, una tromba, percussioni e una chitarra. Ci propone il suo ultimo inedito “La conta”.
Ironico e brillante, si accompagna con ritmiche vagamente reggae, in questo brano che per un attimo dipinge nelle nostre menti uno scenario familiare, ci riporta teneramente all’infanzia, canticchiando la famosa “conta” di quando da bambini si giocava in gruppo nel cortile.

La particolarità di questa canzone all’apparenza allegra è il retrogusto sicuramente nostalgico che Mao ci propone facendoci tornare ai nostri anni ’80 e ’90 quando i social non esistevano nè tantomeno siti virtuali per le interazioni interpersonali c’era solo la strada per conoscere e apprezzare la gente.

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Rabbia e energia: i Necrofilia

Prepotenti stacchi e riff di chitarra in pura distorsione hard rock ci introducono al brano “The End” dei Necrofilia, progetto con 2 album all’attivo che a Ottobre entreranno in studio a registrare un nuovo lavoro.
Dopo un interessante trama solista arriva una voce molto particolare, senza effetti a metà tra il graffiato e il growl (viene evidenziata nelle strofe).

Sicuramente di nostro gradimento anche l’assolo con effetto wah wah prima dell’ultimo ritornello.

Possiamo affermare senza dubbio che i Necrofilia catturano l’attenzione anche al primo ascolto e questo non è poco soprattutto per chi non ha particolare familiarità con il genere perché le trame si accostano sicuramente a hard rock e heavy metal restando a cavallo tra i due generi rendendo in questo modo il loro lavoro intellegibile a molti.

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Il nuovo album dei TIRO “Senza Uscita”

I TIRO sono un notevole trio (simpatico anagramma voluto?) rock alternative italiano provenienti da Puglia e Abruzzo. Hanno formato il loro progetto nel 2016 e i componenti sono Luigi D’Attoli (chitarra e voce), Celestino Rutigliano (basso) e Francesco Savino (batteria).
Sempre nel 2016 rilasciano la loro prima pubblicazione con un EP di tre brani. EP seguito, dopo un anno di lavoro, dal primo disco in studio della band dal titolo “Senza Uscita” seguito dal singolo “Aprile” nel Gennaio 2018 di cui troviamo su YouTube anche il videoclip ufficiale.

Le trame chitarristiche sono di notevole fattura e abbracciano in pieno le distorsioni e gli effetti tipici del genere. Le ritmiche seguono in maniera incalzante le andature dei brani e un plauso particolare va a nostro avviso alla versatilità della voce che ricorda vagamente la timbrica e lo stile di Cristiano Giordano dei Marlene Kuntz. Oltre a sottoporre al vostro ascolto il singolo “Aprile” abbiamo piacere di segnalare anche il brano “Fiori di silva” del quale ci hanno colpito soprattutto gli intrecci vocali nelle strofe.

Aprile

Fuori di silva

Le notti live pugliesi illuminate dai MoonReflex

I MoonReflex sono un duo pugliese formato da Giuseppe Daggiano (polistrumentista, produttore e autore delle musiche) e la cantante Jennifer Tarentini (autrice dei testi).

Jennifer canta, scrive in lingua inglese e, insieme al suo socio Giuseppe ricreano interessanti suoni elettronici, effetti molto particolari, ritmiche sostenute che alternano momenti intensi avvicinandosi molto alle atmosfere anni ’80. Con il loro brano “Get Ride” ci riportano appunto indietro nel tempo, ricordandoci vagamente le sonorità dei primi Depeche Mode o dei Kraftwerk.

Una scelta sicuramente audace, coraggiosa e tanto di cappello per le loro esecuzioni dal vivo che, in due soli elementi, riescono a tenere in piedi una serata ricca di canzoni con arrangiamenti completi

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Per vivere di musica bisogna prima respirarla: LifeBreath

I LifeBreath sono 4 ragazzi di Milano con un singolo all’attivo e un altro in fase di rilascio. Il loro nome prende spunto proprio dal loro motto: “La musica è la nostra vita e non vediamo l’ora di far divertire tutti con il nostro lavoro”. Lo spirito è decisamente quello giusto, specie in un momento come questo per la musica, non solo in Italia ma anche nel mondo.

Il loro singolo rispecchia senza alcun dubbio quello che fanno dal vivo e con un po’ di immaginazione li si riesce già a vedere già in qualche locale, su un palco, con tanta gente intorno impegnata in un pogo spinti dal loro metal. “Be my eyes” è sicuramente un brano interessante, il growl di Andrea Vinci, chitarrista cantante, accompagna il pezzo per quasi tutta la durata accompagnato nei chorus dai cori di Diego Arrigoni. Paolo monte, bassista, е Stefano Morelli, batterista, curano la parte ritmica senza sbagliare un colpo dando vigorosa energia e stabilità al pezzo, specialmente nei cambi. Degni di nota sono per l’appunto questi passaggi, forse un po’ fuori genere, che ricordano vagamente i bridge degli Offspring.
Noi di Music Free Network ci auguriamo vivamente di poter conoscere presto dal vivo questi 4 ragazzi o in un’intervista o meglio ancora in una loro serata.

https://youtu.be/W9fcywsFKqw

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HELL FOR LEATHER, RAP-METAL SULLA VIA EMILIANA

Play. Un distorto gonfio di bassi esplode in unico accordo rimanendo in sospeso qualche secondo… lasciando la sua coda sporca e riverberata in equilibrio e aprendo varchi post metal prima di sciogliersi in un riff poderoso con ibridazione gustosamente bluesaggiante, scandito da una ritmica secca e decisa, senza eccessivi orpelli. Le orecchie mi si saturano di questo suono pastoso e generoso che ricama una linea ripetitiva, quasi mantrica, ma estremamente efficace per fare da tappeto al cantato rappeggiante che attacca quasi subito.

Mi trovo catapultato indietro di un paio di decenni accarezzando con orecchio le sonorità tipiche del rap-core dei Rage Against the Machine, che avevano estremizzato all’epoca la lezione – molto più edulcorata – dei RCHP. Il brano in questione è il bel lavoro degli Hell For Leather (HFL), band di Reggio Emilia che fa proprio del rap metal / crossover la propria dimensione e in cui trova l’habitat naturale per poter sfogare la rabbia sociale montante ormai in questi ultimi anni anche qui nel nostro Belpaese… Musicalmente la forza d’urto è di grande impatto e accompagna in sincrono il senso di sfogo e di protesta. Il quartetto emiliano dunque, pescando generosamente dalla cultura americana dei decenni 80/90, fa sua la lezione dei già citati maestri trovandosi perfettamente calato nel ruolo e ci restituisce un demo dal titolo “Old School Rebel” di piacevolissimo ascolto che, seppur non brillando per originalità stilistica, presenta senza alcun dubbio una dimostrazione di padronanza e di conseguenza una base molto solida su cui poter lavorare e sviluppare futuri inediti. Considerata anche l’importanza rivolta alla parte testuale sarebbe interessante poter assistere ad un’evoluzione con approccio in lingua italiana come erano riusciti a fare i linea 77 o anche i Timoria in alcuni passaggi dell’album “2020 speedball” in cui si percepiva una ricerca sonora e una sperimentazione rivolta proprio a questi stilemi.

Tornando nello specifico al demo ricevuto dai ragazzi c’è da dire che è sempre difficile farsi un’idea completa valutando una gruppo esclusivamente da un pezzo, ma la sensazione è ben positiva. Qualche pecca, se bisogna sviscerare nel dettaglio il brano inviatoci, la si riscontra nella registrazione dove, salvo per le chitarre di cui si apprezza moltissimo il distorto sporco e gonfio di bassi, forse manca in generale un po’ di compressione che meriterebbe di essere spinta per dare un po’ di attacco in più specie nelle fondamentali linee di batteria (la grancassa e il rullo risultano quel pizzico di troppo morbidi e poco incisivi) e di basso, che tendono altrimenti a perdersi impastandosi a livello di frequenze nel suono della chitarra. Lo stesso vale per la voce che pare collocarsi un passo indietro al “muro” strumentale mentre meriterebbe di spiccare leggermente sul resto.
Ma considerando che il lavoro è un demo può solo essere un ottimo punto di partenza!

Matteo Kabra Lorenzi

https://www.youtube.com/watch?v=BVuzbXv_P4w

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CHERRIES ON A SWING SET, UNA CILIEGIA TIRA L’ALTRA

In ambito musicale c’è un luogo ben specifico in cui non è permesso l’uso di facili scappatoie e dove non c’è modo alcuno di truffare l’ascoltatore. È una zona luminosa e una volta varcata quella soglia non ci si può nascondere dietro un distorto sporco di una chitarra, non si può barare celandosi dietro ad un arpeggiatore sintetico, non si possono giustificare le note “non prese” facendo leva sulla “particolarità” del timbro… Si tratta di una dimensione piuttosto di nicchia anche e soprattutto per un motivo: per far sì che tutto funzioni nel migliore dei modi è fondamentale trovare una coesione e un lavoro di gruppo assolutamente perfetti, un equilibrio delicato che chiaramente non può prescindere dalle capacità tecniche e vocali, che sono alla base del filone della musica cosidetta “a cappella”, ma che contempla poi una serie di dettagli che necessitano di trovare collocazione nel modo e nelle dosi giuste. Come avrete ben inteso, truffare è davvero impossibile.
Personalmente sono sempre stato affascinato da questa espressione della musica, proprio per l’incredibile resa, se rapportata all’utilizzo esclusivo della voce come strumento musicale, e ricordo con piacevole nostalgia che una delle prime musicassette che aveva popolato la mia nutrita discografia fu proprio intorno alla metà degli anni Novanta il primo “album” dei Neri per Caso, che forse possono essere definiti, se non i precursori, quantomeno coloro che portarono al grande pubblico in Italia questo genere.

Proprio nel solco di questa tradizione si collocano i “Cherries on a Swing set”, quintetto di Orvieto che da quasi ormai un decennio calca la scena nazionale (e internazionale, se pensiamo che mentre io scrivo questa recensione loro stanno partecipando ad un festival in Russia che li vede impegnati in moltissime esibizioni)raccogliendo numerosi riconoscimenti e che ha da qualche mese prodotto il primo disco nel quale compaiono – cosa particolarmente interessante e degna di nota – due inediti composti ed arrangiati in toto da loro: “The Hunting” e “L’equilibrista”.
È evidente che per un gruppo che fa del virtuosismo vocale e dell’arrangiamento la leva principale delle proprie esibizioni, interpretare canzoni di altri rappresenta comunque già un grandissimo lavoro che li porta a destrutturare un pezzo ricomponendolo completamente da zero con una veste nuova. La mole di studio e dedizione che c’è dietro questo tipo di approccio giustifica ampiamente l’utilizzo massiccio delle “cover” e proprio per questo rapresenta assolutamente una nota di merito questa ricerca e volontà di spingersi oltre, cercando di alzare l’asticella, nella proposta di canzoni inedite, peraltro di propria composizione. Reputo che si tratti di un’operazione che, proprio per quanto detto prima, assume significati ancora più rilevanti nel percorso che il gruppo cerca di tracciare.

Ascoltando i 2 inediti, molto belli e indubbiamente curati, si può davvero toccare con mano il lavoro di Benini che, mentre ricama con il suo beatbox, sa comporre con piena consapevolezza delle voci che ha a disposizione, assemblando con intelligenza il vestito migliore per il proprio gruppo. Le armonizzazioni ideate con estrema competenza non si sviluppano per il semplice gusto di dar sfoggio di bravura ma hanno il pregio di restare, seppur nella loro complessità, di semplice fruizione per l’ascoltatore. Partendo dal presupposto che la gavetta e il palmares delle loro esibizioni live rappresentano una base solidissima e parlano già per loro, pare comunque evidente, soprattutto negli ultimi anni, il tentativo di creare un qualcosa di diverso. I video più recenti pubblidcati su YouTube sono testimoni del processo evolutivo del quintetto: oltre ad un maniacale ed eccellente lavoro di mixing ed editing (dove – va detto – gli effetti incidono in maniera evidente, soprattutto nella parte di ritmica) i “Cherries” – forse prendendo spunto anche da fenomeni più commerciali come ad esempio i Pentatonix che tanta fama hanno raggiunto ormai in tutto il mondo – stanno cercando di portare avanti parallelamente anche un lavoro di immagine non indifferente con un’attenzione al look e al lato coreografico che può sicuramente dare un’ulteriore spinta ad una formazione che pare avere comunque le idee molto chiare sulla strada da seguire. E dunque non sorprendetevi se navigando sul “tubo” anche l’occhio, oltre all’orecchio, sarà piacevolmente colpito e vi troverete a guardare, curiosi e ammirati, uno dopo l’altro i loro videoclip… proprio come quando vi trovate davanti un cestino di succulente ciliegie (guarda caso)… una tira l’altra!

PS. Nonostante mi fossi fatto un’idea piuttosto precisa ho voluto avere il parere di un amico molto più competente di me in materia, soprattutto per avere un confronto con qualcuno che effettivamente possa ritenersi “dentro” questo tipo di musica. Ringrazio dunque Federico Bonato, maestro di coro e componente del gruppo vocale Alter Ego, per avermi dato il suo punto di vista e confermato alcuni miei spunti.

Matteo Kabra Lorenzi

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ROBBE’, SUL SOLCO DEL CANTAUTORATO E DEL FOLK

A volte la ricerca spasmodica di ascoltare qualcosa di nuovo e diverso nel panorama musicale mi spinge ad avventurarmi in generi e gruppi a volte improbabili che cerco di farmi entrare in testa, anche se alla fine non sempre riesco a digerirli al meglio. È innegabile che il più delle volte lo sforzo profuso nel generare qualcosa che esca dal recinto standardizzato delle solite canzoni può portare a partorire lavori estremamente complessi, elaborati, arditi, con linee melodiche che si arrampicano su tracciati non immediati e suoni che tendono a farsi astrusi a discapito, va detto, dell’immediatezza.

Ecco perché la buona vecchia classica canzone d’autore non passa mai di moda… è un rifugio sicuro, se ne sta lì, pronta a coccolarci quando in fin dei conti vogliamo riappacificarci con la musica senza necessariamente fare i salti mortali per poterla apprezzare. Robbè, all’anagrafe Roberto Doto, – parliamoci chiaro – non ha inventato nulla… lo ascolti e pensi che quel pezzo potresti averlo sentito mille altre volte in qualsiasi luogo o qualsiasi periodo della tua vita. Potrebbe, per dire, essere una vecchia canzone dei Nomadi, o quella ballata folk dei Modena City Ramblers che ti gira in testa o ancora una traccia di Rino Gaetano o una canzone dei Mercanti di Liquore meno conosciuta che però ti pare di poter ripescare dalla memoria… e via così… insomma il genere lo avrete facilmente inquadrato e l’elenco, appunto, potrebbe essere anche più lungo. D’altra parte è pur vero che la strada dei cantastorie che anche Robbè ha intrapreso passa forzatamente attraverso questo stile, e probabilmente provare a staccarsene eccessivamente non avrebbe senso: questo sentore di frammenti di vita, di racconto di strada, di “gitaneria” non può prescindere da determinati stilemi e strumenti…
Mettendo in rotazione continua il suo disco, seppur il riverbero di qualcosa di “non-nuovo” mi si sia istintivamente appiccicato addosso, mi rendo però conto che qualcosa di interessante emerge e mi porta alla convinzione che Roberto abbia un pregio in particolare: in pezzi relativamente “piatti”, senza troppe divagazioni rispetto alla classica strofa di stampo gucciniano che si ripete – a livello strutturale – quasi all’infinito, egli riesce a incastrare sempre degli elementi “gustosi” che catturano l’orecchio in maniera quasi ipnotica: un coro, un giro di violino o un fraseggio di tromba a condire canzoni che in definitiva hanno fondamenta molto solide soprattutto nella brillante ed ispirata capacità di Robbè di scrivere testi. Nell’omogeneità “sonora” di fondo riesce dunque a far spiccare sempre qualche dettaglio caratterizzante che aiuta l’ascoltatore ad avere un’àncora di riferimento da attribuire ad ogni episodio dell’EP, facendo trapelare un’intelligenza musicale che fa ben sperare per l’evoluzione artistica del giovane cantautore. Le tracce del disco perciò – e va dato merito al piacevolissimo lavoro di arrangiamenti – scorrono in maniera molto fluida e orecchiabile, senza scadere nell’elevato rischio di annoiare, a partire dalle canzoni che aprono il lavoro: “Via Paradiso” e “Artigiano della musica” rappresentano da subito una dichiarazione d’intenti con i loro accenti in levare e i fiati e i violini che si inseriscono generosamente restituendo la dimensione tipica del folk di matrice irlandese.
Si colloca a metà disco, spezzando il ritmo con malinconiche atmosfere, “Lontano”, una bellissima ballata in 3/4 che oltre all’irresistibile utilizzo della tromba (inarrivabile l’atmosfera con cui questo strumento riesce a dare profondità espressiva alla canzone) condisce il ritornello con un seducente e morbido cantato corale in inglese che si apre un varco inatteso e piacevolmente sorprendente, un inserto leggero ma al contempo deciso, che nella sua incredibile semplicità riesce a rendere estremamente efficace tutto il brano.
Tornano poi su ritmi più ballabili “D.” che trova nel fantastico intreccio di cori e violino la chiave per ficcarsi in testa in maniera indelebile (nessuno potrà evitare di canticchiare quel martellante la-la-la-la…) e “Orgasmo”.
Una speciale nota di merito va alla canzone che chiude il lavoro, lasciando un po’ da parte le atmosfere folk e spostandosi decisamente su terreni più cantautorali. Qui l’influenza di Gaetano è davvero palpabile, sia nell’andamento melodico che in qualche piccola increspatura della voce. Il testo dimostra di essere partorito da una mente ispirata e una penna matura, e infatti non a caso è proprio con i versi di questa bella canzone che Roberto lo scorso anno si è aggiudicato il terzo posto nella sezione “Autori di testi di canzoni” del concorso “Va in scena lo scrittore” della Fondazione Unitaria Italiana Scrittori.
Ancora una volta in definitiva mi trovo a pescare nel panorama di casa nostra un cantautore che, anche se con un linguaggio non propriamente innovativo, riesce però a raccontarci storie con classe e delicatezza, proprio sulle orme della scuola dei maestri nostrani, con una pennellata di irlanda… che alla fine non guasta mai!
Un bravo a Roberto e un incitamento a continuare sulla strada della ricerca, per provare ad aggiungere una ventata di freschezza alla propria proposta musicale!

Matteo Kabra Lorenzi

https://youtu.be/6Q3JD8A_sx4