«La società orgasmo: Organizzazione Rivoluzionaria per il Godimento dell’Azione Spontanea e Migliori Orizzonti, presenta: una fenomenale acrobazia, un numero di alta elettricità, un numero di oltraggiosa schizofantasia, una clowneria psicofrenetica!»: così cantava Alberto Camerini nel 1978 in quella folle e teatrale capriola musicale che fu “Comici cosmetici”… e il cappello introduttivo calza davvero a pennello; un cappello che non può certo contenere quell’esplosione cranica immortalata nell’azzeccatissima copertina di “Canzoni sovrappensiero” di Pietro Saino e perfettamente ritraente il contenuto del disco. Esplosione creativa, per l’appunto. Aprire la porta di questo album è un po’ come partecipare, senza averne piena consapevolezza, al Festival dell’Assurdo, dove tutto viene centrifugato e riversato in chiave musicale addosso all’ascoltatore che, quasi strafatto dall’overdose di pazzia, si trova a vagare spaesato e affascinato da tutti i colori che gli ruotano intorno.
Impossibile trovare un appiglio per definire questo lavoro, Pietro ha la capacità di toglierci il terreno sotto i piedi e decidere – lui per noi – in quale vortice farci risucchiare… è una sorta di Fantasma del Natale che ti rapisce conducendoti in ogni luogo della musica, dallo swing al pop, dal funky al jazz, dall’haiku giapponese (delicatissima e meravigliosa “Autunno giapponese”, uno dei brani di punta dell’album), dal rock alla bossanova brasiliana e chi più ne ha più ne metta… però alla fine ne esci migliore, comunque vada. Perché questa è un’esperienza sensoriale e spiazzante nel centro della musica.
La particolare timbrica di Saino ricorda a tratti John De Leo (ex Quintorigo), personalità vocale duttile e dall’attitudine sperimentale a cui probabilmente qualcosa deve, ma ancora di più – personalmente – riporta a quelle incrinazioni tipiche di Alberto Camerini, non per caso citato in apertura, proprio per questo suo persistente vibrato e per l’accomunanza nell’istrionico modo di scrivere. Guarda caso l’“arlecchino elettronico”, sopraffino chitarrista conosciuto putroppo quasi esclusivamente per i pezzi maggiormente commerciali e dance-pop, ricordando le sue origini brasiliane era solito contaminare spesso le sue canzoni con ritmiche e sonorità sudamericane che si ritrovano in maniera piacevolmente illuminante anche nel disco di Saino in “Quattro stagioni a Rio”. In alcuni tratti invece sembra di sentire le ardite costruzioni ritmiche e vocali degli Elio e le storie tese, mentre in altri passaggi (“Voglio essere il tuo specchio” ) ci riporta allo schizofrenico pop-rock di Andrea Rà.
Nel complesso il disco, che si apre subito con la canzone-capolavoro “Mago di Oz”, è una sorta di CAR per la mente: in superficie ha la parvenza di un assembramento bulimico e sconclusionato che prende ben presto i connotati di un’intensa palestra per il cervello. Non ci si può accontentare di lasciare queste musiche in sottofondo ma si è quasi costretti ad incollarsi bramosi alle cuffie per non perdere nessun passaggio… e non appena l’orecchio si sta per adagiare su una melodia, subentra repentino un cambio di tempo o di tonalità che spiazza e riattiva subito i sensori dell’attenzione, smentendo di fatto il provocatorio titolo dell’album “canzoni sovrappensiero”.


Insomma, se cercate un comodo materasso di 4/4 su cui adagiare il vostro ascolto non troverete terreno fertile ma se siete pronti ad immergervi in un’esperienza davvero diversa e meritevole allora fatevi prendere la mano da Saino, e senza opporre resistenza lasciatevi condurre… il vostro Fantasma del Natale non vi deluderà, anche se – come ci dice in maniera sibilinna Pietro, impersonificando il giullaresco Mago di Oz – «forse non sono questo in realtà, è solo il trailer di me stesso, non la verità, non sono così… il mio contorno sono limiti… sono un ciarlatano, nient’altro… sono l’unico illusionista che illude se stesso e non il pubblico»!

Ps. Si è soliti concentrarsi, come è giusto che sia, sull’artista ma, sottintendendola spesso, mi sento in questo specifico caso di fare una menzione di merito all’etichetta “La Stanza Nascosta Records” che ha avuto l’alienato, visionario e irriverente coraggio di pubblicare un disco così ardito e, se vogliamo, “poco commerciale” dimostrando di credere in un progetto di qualità a dispetto di qualsiasi “diktat” di mercato.

Matteo Kabra Lorenzi

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