Noi di Music Free Network abbiamo ascoltato in anteprima , l’ep di Pask “Jungla degli uomini” in uscita il 10 gennaio 2020, disco di 5 canzoni, poche ma non buone: Ottime. Il numero perfetto per destare ulteriore curiosità sulle composizioni di questo artista e per farti esclamare a gran voce a fine disco “Ne vorrei ancora!”

La prima traccia del suo album si intitola “Niente più di noi”, una possente rock ballad che a tratti ricorda il sound rock alternativo inglese di gruppi come Coldplay / Muse, in grado di miscelare in equilibrio melodia e rabbia con inaspettate e intense reazioni dinamiche.
L’incipit del brano è sicuramente molto soft con una linea di piano composta dall’autore stesso ma già nel
Ritornello Fender e Marshall fanno da padrone. Nella seconda parte il pianoforte scompare lasciando spazio a interessanti evoluzioni acustiche per poi tornare possente nel secondo ritornello in un connubio straordinario con le chitarre. Decisamente un inizio convincente.
Dal testo emergono immagini malinconiche, sentite, il dolore è palpabile sin dai primi versi e colmo di figure retoriche decisamente degne e originali, “un fiore assetato a bordo cemento”. È originale la stessa scelta di inserire in apertura disco una ballata e spiazza positivamente l’ascoltatore preparandolo alle esplicite canzoni di protesta senza peli sulla lingua che lo aspettano in seguito E che contraddistinguono da sempre lo stile di questo cantautore.
Sembra quasi che l’autore voglia aprire piano una porta sul suo tormento interiore
per poi mostrarci successivamente quanto altro non va, quanto c’è ancora da sistemare.
“Niente più di noi” è la spietata risposta a una disperata dichiarazione d’amore non corrisposto, “un lamento che scava da dentro” e una flebile speranza che coesistono sullo stesso filo che lega queste note.
“Piazza Illusi” ci ricorda vagamente uno di quei luoghi immaginari che si ritrovano spesso nelle favole come il
Campo dei miracoli o il paese di Acchiappacitrulli di “Pinocchio”. Questo luogo può ricordare il classico ritrovo in cui chiunque si ritrova almeno una volta nella vita a discorrere del più e del meno, o di grandi verità, può essere un bar come può essere appunto una piazza. Questa canzone è geniale già nel titolo, azzeccatissimo. Si parla della cosiddetta ‘febbre esistenziale’, quella che brucia i pensieri che ci affollano la vita quotidiana, , quelli che segnano ogni passo che facciamo e che, a parer mio, gli artisti chiamano fuoco dell’arte, esattamente quel malessere che spinge a scrivere, a esternare. “Suonano alla porta, suona un’altra volta è ancora la posta” è inevitabile pensare al proverbio del postino che suona sempre due volte, proverbi e aforismi si insinuano meravigliosamente nelle composizioni di Pask per chi lo sa ascoltare con la giusta attenzione.
L’unica soluzione a questi “giorni da rifare” alla fine dei conti sembrerebbe essere proprio quel buon caffè tanto desiderato sin da inizio canzone. La canzone ha un gran tiro ritmico, quasi ballabile nonostante sia impregnata di malinconia. È sicuramente un pezzo che si presterebbe anche a una versione ballad, chissà, magari dal vivo. Molto interessante il bridge in cui tutta la band si spegne per lasciare spazio al parlato. Molto evocativo.
“Appartenenza inutile” arriva diretto come una raffica di vento in faccia e anche questa volta non perde occasione per esprimere con forza il suo credo in maniera carismatica e forte.
Si parla di musica italiana, Pask, appassionato da sempre della musica nostrana, soffre un po’ come tutti noi nel vedere com’è ridotta al giorno d’oggi ma in questo brano si sfoga in un “non so se ridere o piangere” leggendo il continuo malcontento della gente sui social, tutti sanno tutto, tutti sono ipercritici, o meglio, si forzano di esserlo perché ognuno di loro ormai ha voce quindi tacere sarebbe un’occasione persa. Tecnicamente il brano accompagna le tematiche in maniera perfetta, le distorsioni e i riff che non mancano nei suoi pezzi viaggiano in parallelo con le ritmiche di basso e batteria incastrandosi in maniera ottimale, attraversiamo i vari nomi e cognomi sopra momenti ballabili ed entusiasmanti cullati da probabili influenze “redhotchilipepperiane”, intraSENTIAMO gli Oasis tanto amati dall’autore e ovviamente veniamo sfiorati anche dai nostri cari artisti italiani. Molto profondo e toccante il momento Floydiano nel bridge che arriva a esprimere la profondità dell’animo che si arrende a queste ondate di ignoranza ma che subito dopo, quasi sottovoce, riprende le forze e piano piano si rialza.

La crisi economica italiana tra i tormenti del nostro secolo non poteva mancare così come tra quelli, non solo interiori, trattati in questo album e ovviamente L’autore con la sua pungente ironia non perde occasione per analizzarne ogni aspetto con l’aiuto di un altro “tormento” reale di questo momento storico italiano che stiamo vivendo: le inglesizzazioni.
La title track (appunto) “Jungla degli uomini” A colpi di riff di chitarra e di ritmiche quasi dance anni 80/90 ci ritrova divertiti a cantare queste strofe con Pask che, in maniera sorprendente, spacca i silenzi (cit.) tra una frase e l’altra con un possente delay proprio sulle parole clandestinamente contrabbandate dall’estero che vanno a rimarcare in maniera importante ogni frase, una sorta di iconica e creativa presa per i fondelli a quello che noi italiani siamo, inevitabilmente diventati: una macchietta. Tutti ci lamentiamo di non avere soldi ma guai a non andare al mare in estate, guai a farci mancare quello che va di moda, dalle scarpe nuove alla tv in streaming, un’autentica fotografia moderna nella quale tutti noi ci giustifichiamo e nascondiamo dietro a due sole parole: Stress e crisi.

L’ep si chiude con quello che potrebbe essere considerato il fulcro, la chiave del disco “Jungla degli uomini” che si intitola “Tutti bravi”: com’è solito fare Pask ci saluta con insolite e interessanti trame acustiche, una teatrale apertura che tende a “smascherare” sin da subito il buonismo, questo da sempre falso comandamento “ama il prossimo tuo” che viene sbugiardato puntualmente nelle piccole azioni quotidiane. La canzone è una raccolta di diapositive in fila, alcune rapportate a se stessi, altre al mondo in cui viviamo e altre ancora sono l’esatto ritratto a pieno viso di persone che abbiamo persino vicine. Esattamente come in una giungla (degli uomini) il più furbo si nutre, o cerca di farlo, del più sprovveduto. Il paradosso però viene toccato proprio con un’argomentazione del tutto ambientalista che ci mostra una maturità nuova di Pask: “Mentre il ghiaccio si abbassa pian piano siamo morti e non ce ne accorgiamo”

Noi di Music Free Network vi salutiamo lasciandovi il videoclip di “Appartenenza inutile” il primo singolo estratto.

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